Il Translation Tuesday di questa settimana mostra il mistero del cavallo abbandonato e quali pensieri può contenere la sua mente. Con la nitidezza che gli valse il Premio Nobel, Luigi Pirandello scruta attentamente il suo corpo magro e oberato di lavoro e fissa i suoi occhi vacui, alla ricerca di tracce di pensieri animali.
La stalla è lì, dietro una porta chiusa, appena oltre l’ingresso di un rustico cortile in pendio con ciottoli consumati e una cisterna d’acqua al centro.
La porta è diventata porosa. Prima era verde, ma ora ha perso quasi tutto il suo colore con l’intonaco giallo pallido, come la casa, che la fa sembrare la più antica e meschina della periferia.
All’alba di questa mattina la porta è stata chiusa dall’esterno con un’enorme catena arrugginita e il cavallo nella stalla è stato portato fuori e lasciato lì. Chissà perché? Senza redini, sella o bisaccia, anche senza briglie.
Sta lì pazientemente, quasi immobile, a lungo. Attraverso questa porta sente l’odore della sua stalla nelle vicinanze e nel cortile. E quando respira attraverso le sue narici dilatate, sembra sospirare.
Curiosamente, ad ogni sospiro si avverte uno spasmo nervoso della pelle sul dorso, dove si intravede il segno della vecchia sella.
Poiché è libero da ogni finimento, testa e corpo intero, è facile vedere cosa gli ha fatto il tempo: la testa, quando la solleva, è ancora nobile, ma triste. Il suo corpo è patetico: la sua schiena è annodata; la sua gabbia toracica sporge; i suoi fianchi sono taglienti. Tuttavia, la sua criniera è ancora folta e la sua coda, anche se un po’ sottile, è lunga.
Un cavallo che, francamente, non serve più.
Cosa sta aspettando alla porta?
Chi lo vede passare e sa che il padrone ha preso tutta la casa e si è trasferito in un’altra città, pensa che forse mandi a chiamare qualcuno. Anche se lasciato così, spogliato di tutto, sembra piuttosto un cavallo abbandonato.
Altri passanti si fermano a guardarlo. Uno di loro dice che prima di andarsene, il maestro ha fatto del suo meglio per sbarazzarsi di lui. Prima ha cercato di venderla, anche per quasi niente. Poi ha cercato di darla via a chiunque l’avrebbe presa. Anche per lui. Ma nessuno lo voleva, nemmeno gratis. Nemmeno lui.
Forse se il cavallo non mangiasse, ma lo fa. E beh, visto il servizio che il vecchio cavallo può ancora fornire, diciamocelo, secondo voi vale il prezzo del fieno o anche della paglia per dargli da mangiare?
Possedere un cavallo e non sapere cosa farsene dev’essere una situazione abbastanza difficile.
Per sbarazzarsi di lui, molte persone lo ucciderebbero semplicemente. Un mese non costa molto. Ma non tutti hanno il coraggio di farlo.
C’è da chiedersi, però, se non sia più crudele abbandonarlo così. Ti spezzerà sicuramente il cuore vederlo lì davanti alla porta chiusa della casa vuota, abbandonata, povera bestia. Ti viene quasi voglia di avvicinarti a lui e di sussurrargli all’orecchio che è inutile stare lì ad aspettare.
Se solo gli avessero lasciato la cavezza intorno al collo in modo che potesse essere portato via in qualche modo. Ma no. Ovviamente non hanno avuto problemi a vendere i ferri di cavallo: è utile. In ogni caso, la persona che l’ha portata probabilmente avrebbe venduto la giacca e poi l’avrebbe lasciata nuda in mezzo a un’altra strada.
E nel frattempo, guarda, oh, guarda le mosche. Non c’è dubbio che non lo abbandoneranno mai, triste o no. E il povero cavallo, se si muove, è solo per allontanare le mosche con la coda quando mordono più forte, il che sembra accadere più spesso ora che l’insetto sanguigno rimanente non è facile da catturare.
Ma ora è stanco di stare in piedi e si piega dolorosamente sulle ginocchia per appoggiarsi a terra, la testa ancora girata verso la porta.
Davvero non capisce di essere libero.
Ma può un cavallo, anche se veramente libero, comprendere il significato della libertà? Ce l’ha e se la gode senza pensarci. Quando glielo portano via, all’inizio si ribella istintivamente. Poi, una volta addomesticato, fa un passo indietro e si adatta.
Forse questo cavallo, nato in una stalla da qualche parte, non è mai stato libero. Sì, probabilmente in campagna quando era giovane e lasciato a pascolare nei campi. Ma la presunta libertà: i campi erano recintati. E anche se allora avesse avuto un po’ di libertà, che ricordi ne avrebbe?
Rimane lì in ginocchio finché la fame non lo costringe ad alzarsi in piedi. E siccome dopo tanta attesa non si aspetta più di ricevere aiuto da quella porta, volta la testa verso la lunga strada verso la periferia. Abbaia. Gratta il terreno con lo zoccolo. Non può fare molto di più. Ma deve sapere che è inutile perché dopo un po’ russa. Scuote la testa. Poi fa qualche passo incerto.
Ormai è seguito da più di un ficcanaso.
Se non puoi avere un cavallo che va in giro libero nelle campagne dove la terra è coltivata, puoi immaginare un cavallo in mezzo a un quartiere residenziale con donne e bambini?
Un cavallo non è come un cane che può vivere da solo senza padrone e può andare in giro senza che nessuno se ne accorga. Un cavallo è un cavallo. E anche se lui non lo sa, le persone che lo vedono lo sanno. Il suo corpo è molto, molto più grande di un cane. E ingombrante. È il tipo di corpo che non ispira mai completa fiducia e tutti sono cauti nei suoi confronti perché non sai mai che potrebbe essere timido per qualche motivo. E poi con quegli occhi, quei bianchi a volte furiosi e pieni di sangue, occhi così lucidi, con una vivacità così impetuosa ea volte con lampi di luce che nessuno capisce, con una vita vissuta nell’ansia che può oscurarsi senza motivo.
Non per essere ingiusto, ma questi non sono certo gli occhi di un cane, gli occhi di un uomo che chiede perdono o pietà, che può anche fingere, a volte con un certo sguardo che nemmeno la nostra ipocrisia può correggere.
Negli occhi del cavallo puoi vedere tutto, ma non puoi leggere nulla.
È vero, questo cavallo, così com’è, non sembra affatto pericoloso. Ma comunque, perché interferire?
Lascialo stare. Quindi, quando infastidisce qualcuno, si preoccupano se lo spingerà da parte o lo allontanerà. O le guardie lo fanno.
Ehi ragazzi, non lanciate sassi. Non vedi che non ha niente addosso? Libero e libero com’è, quando colpisce, come può qualcuno fermarlo?
Restiamo qui e vediamo dove va.
Beh, in primis all’uomo che prepara la pasta e la appende ad asciugare all’esterno su falde di rete tese su grate traballanti.
Oddio, quando si avvicina li fa cadere.
Ma il Pastaio corre appena in tempo per bloccarlo e respingerlo. Godda… di chi è quel cavallo?
Alcuni bambini non ce la fanno più e gli corrono dietro urlando e ridendo.
“Un cavallo in fuga?”
“No: abbandonato.”
“Cosa significa abbandonato?”
“Appena abbandonato. Il suo padrone lo ha abbandonato. Libero.”
“Veramente? Quindi il cavallo vaga da solo per le strade della città?
Riguardo all’uomo, beh, vuoi sapere che non è pazzo. Ma cosa vuoi sapere del cavallo? L’unica cosa che sa un cavallo è la fame. Ora, ecco, tende la bocca a un bel cespo di lattuga seduto tra tanti altri su un bancone davanti a un fruttivendolo.
Lo spingono via con forza anche da lì.
È abituato a essere sculacciato e non gli dispiacerebbe se ciò significasse avere il permesso di mangiare. Ma semplicemente non vogliono che mangi. Più resiste per dimostrare che non gli dispiace il pestaggio, più gli torcono il collo per tenergli la bocca lontana da quel bel cespo di lattuga. La sua testardaggine li fa ridere. Cosa ci vuole per sapere se un’insalata può essere venduta a qualcuno che vuole mangiarla? E ‘davvero così semplice. E poiché il cavallo sembra non capirlo, scoppiano le risate.
Bestia! Non c’è paglia da mangiare e vorrebbe mangiare un’insalata.
Nessuno immagina che la bestia, da parte sua, possa vedere il tutto in un modo completamente diverso, molto più semplice. Ma è inutile.
E il cavallo se ne va, seguito da tutti quei bambini maleducati. Chi può trattenerli ora che hanno visto quanto bene, con quanta calma sopporta le botte? Lo accerchiano facendo un baccano pazzesco, un baccano tale infatti che a un certo punto il cavallo si ferma inebetito come se cercasse il modo di fermarlo. Il vecchio si precipita ad avvertire gli scagnozzi di non scherzare con i cavalli.
“Vedi come si è fermato?”
E il vecchio mette la mano sul collo del cavallo per calmarlo e calmarlo. Ma il cavallo improvvisamente salta di lato e raddrizza le orecchie. Il vecchio, che non se lo aspettava, prima si arrabbia e poi guarda la reazione dimostrare il suo punto. Lui ripete:
“Vedi?”
Questo si rivelerà utile per un momento. il marmocchio ricomincia a seguire il cavallo, ma ora da lontano. Dove sta andando?
Semplice. Non osando avvicinarsi alle altre botteghe, percorre la strada cittadina in cima alla collina, e quando questa comincia a scendere, rimane a lungo disabitato, non sapendo cosa fare.
È ovvio che non sa più dove andare.
C’è un vento leggero su questo tratto di strada. E il cavallo alza la testa come per berlo. Chiude gli occhi, forse perché in lontananza sente l’odore dell’erba dei campi.
Rimane lì per molto, molto tempo, gli occhi semichiusi e il portello anteriore, sfiorandosi delicatamente la fronte dura a ogni raffica di vento.
Ma non dobbiamo arrabbiarci. Non dimentichiamo quanto è felice questo cavallo e ogni altro cavallo: felice di essere un cavallo.
Quando finalmente questo primo gruppo di bambini brutali si stanca di guardarlo e se ne va, altri, tanti, tanti altri gli si affollano allegramente intorno, quando poi quella sera arriva di corsa, come dal nulla, stranamente esaltato da, beh, una sorta di di ubriaca impazienza con la sua fame. Alzando la testa, va in mezzo alla strada maestra e lì si ferma, raschiando con lo zoccolo il duro selciato, come a dire: esigo che tu mi porti qualcosa da mangiare subito, proprio qui, proprio qui.
Alla vista di questo possente gesto si sentono urla, applausi, risate, grida varie. Le persone si radunano da ogni parte, lasciando i loro tavoli nei caffè e nei negozi. Tutti vogliono sapere di questo cavallo – scappa – non scappare – abbandonato – finché le due guardie non si saranno fatte strada tra la folla. Uno afferra la criniera del cavallo e lo trascina via, mentre l’altro impedisce agli scagnozzi di seguirlo, facendoli tornare indietro.
Scortato fuori dall’abitato, oltre le ultime case e fabbriche, oltre il ponte, il cavallo, che non capisce cosa sta succedendo, capisce una cosa: l’odore dell’erba, che in quel momento è vicina, laggiù. la strada che porta al paese, dietro il ponte.
Perché vedi, delle tante disgrazie che possono capitargli, il cavallo ha almeno una buona fortuna quando è governato da un uomo: non pensa a niente. Nemmeno essere libero. Né dove o come uscirà. Niente. Lo stanno cacciando via da ogni dove? Lo manderanno al fosso?
Attualmente sta mangiando erba sul ciglio della strada. La sera è mite. Il cielo è pieno di stelle. Domani, quello che succede, succede. Non ci pensa.
Tradotto dall’italiano da Matilde Colarossi
Luigi Pirandello nacque ad Agrigento, in Sicilia, nel 1867. Tra le sue numerose opere troviamo poesie, romanzi (raccolti sotto il titolo Racconti per un anno, 1922-37), sei opere di narrativa, tre opere di saggistica, due traduzioni e numerose opere teatrali. Nel 1934 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. Luigi Pirandello muore il 10 dicembre 1936.
Matilde Colarossi è un traduttore letterario canadese che vive in Toscana. Le sue opere si possono trovare in molte riviste, per esempio Asymptote, Lunch Ticket Org., Poetry International Org., Ilanot Review, Sakura Review, Anomaly, AALITRA Review, E Azonale. Ha guidato testi paralleli.blog dal 2014. La sua traduzione è pubblicata Escluso di Luigi Pirandello (Noumena Press).
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Puoi trovare ulteriori informazioni sui martedì delle traduzioni su Asintoto blog: